Non sò cosa sia questa vita forse come dice il mio amico Angelo ... è tutta una follia ...

Appunti di Viaggio 109 NIVEA (Terza Parte - Francisco)




TERZA PARTE 
NIVEA
"Mio figlio Francisco"

Un’invitante tortino millefoglie di pesche e mirtilli, con pezzetti di cioccolato cosparso di zucchero a velo, il superlativo dolce della casa, catturò magicamente tutta la mia attenzione e con l’acquolina in bocca lo mangiai in soli tre bocconi! “..Parlami di lui” …disse Gustavo. Presi un'altra lunga pausa, parlare di Francisco era ancora più difficile e, mentre inseguivo i mirtilli che facevano capolino nel piattino, iniziai a raccontargli la mia grande spina nel cuore “..Francisco quando era piccolo aveva lunghi capelli neri, lisci come setola, su di una carnagione chiara come i petali del bucaneve, lui amava ascoltare il vento della bufera ed il buìre della pioggia e, durante il temporale, si nascondeva sotto le fronde di un salice che cresceva nel nostro giardino. Furono quelli i primi segni della sua grave bipolarità. Francisco mi dispensava di germogli che raccoglieva in cortile e, per quanto era leggero, si acciambellava al tronco del salice per non essere spazzato via dal forte vento. Come suo padre Juan, decifrava i cirri nel cielo facendo grandi scorpacciate di avocado ed arrivava alla compièta sempre con il solito clisce’, addormentarsi al mio fianco con una cantilena. Francisco, per paventato pegno al padre, crebbe ipotecato nella sua infelicità” ..una forchettina di dolce e ripresi “…passava il suo tempo a raccogliere ghiande che teneva come gingilli nelle tasche e, quando era in preda ad una crisi, imbrattava tutti i muri del cortile facendo disegni astratti. Quando incontrava una chica, correva a chiedermi sorrisi in prestito perchè diceva di avere l’espressione inamidata e, nonostante avesse uno sguardo docile e discreto, talvolta pencolava scatti aggressivi rannicchiandosi impaurito dal ricevere persino una mia carezza. Francisco, all’età di tredici anni, si scaldava alla fiamma della sua centunesima sigaretta e, mentre ascoltava il mare che si infrangeva a recapitare conchiglie alla battigia approfittava della risacca per insabbiarle nuovamente. Un modo per sentirsi in comunione con l’anima di Juan e, in questo suo compulsivo arginare e sotterrare oggetti sulla spiaggia, un giorno smise completamente di parlare. Si, mio figlio non parla più ”... portai al mio palato un pezzetto di frutta.. ”..Buonissima, ...in questo periodo, Francisco è ospite in una casa di riposo di un prozio di Juan, vicino alla scogliera, a far compagnia ai pesci multicolori che popolano un acquario e, come un richiamo ancestrale, continua a difendere la latitudine della sua spiaggia in una emblematica e costante perlustrazione. Nei saliscendi delle costellazioni, come il gettito celeste del Te Dèum, Francisco si dissolve con i pianeti fino all’alba nascondendo le sue stimmate nella frescura della sabbia. Si, ..” ..feci un profondo e sonoro sospiro.. “.. Francisco ha le stimmate alle mani ed al costato e, dal giorno della sua unzione, non permette a nessuno di avvicinarsi a lui ad eccezione di suo zio. Il suo sguardo è, ormai, ascetico nella grande convessità del cielo e le sue ferite sono come un graffito sulla roccia, impresse nel suo complicato ingranaggio emotivo. Nei suoi momenti di maggiore sofferenza, plana le sue braccia al mare per consolare quell’annodato sentimento d’amore per Juan e, quando è oramai saturo della notte, si appella a Nettuno con rabbia ed ingratitudine, porge la sua guancia all’orizzonte aspettando un istante di pietà al suo dolore, scende negli abissi e riemerge sulla secca completamente fradicio e, come la pioggia, svanisce con il muso nella sabbia” ….presi l’ultimo pezzetto di dolce con i rimasugli di cioccolata ed allontanai lentamente il piatto per far spazio al mio tovagliolo e conclusi.. “..ogni volta che Francisco stenta a coricare le sue membra per l’intenso dolore alle ferite, lo sento come se io fossi lì al suo fianco e devo trovare, al più presto, l’equiseto per farne un unguento alle sue dolorose stimmate. E’ questa la vera ragione per cui sono qui”. Gustavo cambiò espressione e mi chiese di tacere per un attimo, disse che aveva capito, chiamò con un cenno il cameriere per ordinare due caffè e chiedere il conto. Il dolore al costato di Francisco sembrava aver trafitto anche lui. Approfittai per fare due passi ed andai, lentamente a testa bassa, sulla terrazza del ristorante per respirare un pò d’aria fresca. Sentivo l’arrivo della pioggia e guardavo il cielo nel buio più nero, barcollavo come un tiretto che aveva scardinato le sue guide, tornai a sedermi al suo fianco e lo guardai, senza ulteriori approfondimenti. Lui allungò la sua mano verso di me e, mostrandomi il palmo, mi chiese di leggergli la via dell’amore ma non lo feci. Gustavo aveva settantacinque anni ed un uomo, nell'età della vecchiaia, dovrebbe apprestarsi al placido inventario della sua vita più che miscelare molecole, intavolare incontri da ponente ad occidente, ed andare a caccia di un affare. Un uomo della sua età dovrebbe contare sulle sue piume tutti i dispiaceri che ha vissuto, postdatare la soave morte ed augurarsi un viaggio che sia lieve mentre Gustavo, stranamente, era ancora lì a fissare la stella polare del suo successo, far pollice verso al pianto della vita e, per giunta, voleva sapere da me, che avevo solo 29 anni, quale sarebbe stata la sua via dell’amore?! Nella mia malinconia rimescolavo tutta la serata abbandonandomi a quel tavolo così surreale e, come un predestinato itinerario mi chiusi a tartaruga da ogni ulteriore e superflua conversazione. Oramai l’avevo capito, Gustavo era un privilegiato e desiderava diventare mio nutrimento come se io fossi una sua primizia di stagione, rispecchiava la profezia della mela proibita esaltando l’innocenza del suo ventre, ed era troppo lontano dal capire la disperazione della mia prigione. Gustavo non aveva mai consumato le tomaie alle sue scarpe e si scamiciava, nella mia tormenta emotiva, come un damerino nella sua voluttuosa vetrina. Mise la mano sul mio polso e disse che, se volevo, lui poteva commercializzare la mia nivea e, per far questo, occorreva il mio consenso alla registrazione del brevetto. Nel suo trasognare propagava dagli occhi una luce diversa e si piegava in un inchino con una triade di gesti galanti, aveva svernato la sua età verso i miei torridi alisei e, mentre osservavo il suo leggero affanno, gli chiesi perché volesse proprio la mia nivèa. “…Per farne di virtù un canto”… disse lui. Mi propose, quindi, di lavorare nella sua farmacia e, per quell’allettante invito, ebbi un tripudio di pensieri che mi intorpidirono le corde vocali.  .... continua

marilena.capitanio@gmail.com
14 AGOSTO 2015